Ad una Sconosciuta

1988 by abietto

“…Un appuntamento con una ragazza è una cosuccia da niente, ma nella nostra società c’è un turbine di forze, le più svariate e contraddittorie, dietro questo semplice concetto. Voglio dire che ci sono ragazzi che si fanno tutto il liceo senza mai trovare abbastanza coraggio per invitare fuori una ragazza. Mai significa nemmeno una volta per ben quattro anni. E non parlo di uno o due. Molti fanno questa fine. E ci sono anche molte ragazze che non vengono invitate fuori. È veramente uno schifo, se ci pensi un attimo. Tutta questa brava gente che sta male…”
(S. King, Christine)

Daniel conobbe Wendy in un modo disastroso, come in ogni cosa che faceva.
Stava entrando in presidenza proprio mentre lei stava uscendone, carica di moduli di iscrizione al corso dell’anno successivo. Lui la urtò leggermente, ma ciò bastò a farle cadere tutti i moduli per terra.
-Oh, accidenti - cominciò lui - mi spiace, sono il solito idiota… - Daniel si chinò per raccogliere i fogli sparsi.
-No, no, non importa, - disse lei - non importa - si abbassò ad aiutarlo e per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Fu solo allora, in effetti, che Daniel la vide davvero. Era stupenda: aveva lunghi capelli lisci, castani e due meravigliosi occhi verdi. Si rialzarono e lui le porse i fogli: -Scusa ancora, sono uno sbadato.
-Non importa… Ciao - disse lei.
-Ciao… - Lui continuò a guardarla camminare nel corridoio e Wendy, prima di scomparire dietro l’angolo, si girò e gli sorrise.

Per tutto l’anno Daniel ebbe l’ossessione di quella ragazza, quella che in poco tempo i suoi amici cominciarono a chiamare la “Sindrome di Wendy”.
Lei aveva un ragazzo, una specie di Hulk che giocava nella squadra di football americano della scuola, e, naturalmente, Daniel si rodeva il fegato ogni volta che la vedeva, cambiando improvvisamente di umore, dal suo solito stile gioviale a un nervosismo e a un modo di fare cupo, provocato dall’impotenza che provava nei confronti di quella situazione.
Daniel non era più un ragazzino e sapeva che non ci si può innamorare di una ragazza semplicemente guardandola da lontano o salutandola… D’altra parte, recentissimi studi al computer hanno dimostrato senza ombra di dubbio o di errore che “fisicamente” il maggiolino non può volare, e nonostante quello che dice il computer, il maggiolino vola. Quella ragazza era il suo maggiolino. Continuava a volare sebbene non potesse farlo.
Ogni volta che la incrociava in corridoio, ogni volta che lei lo salutava con quel suo sorriso disarmante, lui sentiva lo stomaco stringersi e il sangue affluire alle gote… Proprio come quando lo interrogavano e non era preparato.

Wendy, dal canto suo, non era molto felice con Buddy (Hulk); anche se a volte sapeva essere gentile, era fondamentalmente uno stupido. Era mai stata innamorata di lui? Lei credeva di sì, per lo meno all’inizio. Poi le cose erano andate avanti per forza d’inerzia.

Daniel, che non era mai stato con una ragazza, un giorno aveva chiesto ai suoi compagni come ci si sentiva dopo averne baciata una per la prima volta. Un suo compagno disse: -Come stai dopo? Bene. Ti dici: “Ehi, finalmente ce l’ho fatta”, o altre idiozie del genere o, nel migliore dei casi, non pensi a niente… Ma, secondo me, la parte veramente bella è poco prima. Quando tieni stretta una ragazza e vi guardate negli occhi, un istante prima di baciarla, c’è come un momento magico, una comunicazione senza aprire la bocca, non so come spiegarlo… Ma è elettrizzante! Ti senti un po’ come quando sei sull’ottovolante al culmine della parabolica delle rotaie, l’attimo prima di cominciare la caduta… Capisci!?
No, non capiva; per lo meno, non completamente. Come avrebbe potuto?
Ma quel giorno, quando i loro sguardi si erano incontrati, lui aveva creduto di poter cominciare a capire. Daniel aveva avuto tante delusioni, tante sbandate, che ormai c’era quasi abituato… Ma questa volta gli sembrava veramente diverso.

E l’anno passò. Wendy doveva sostenere gli esami di fine corso; l’anno dopo non sarebbe più rimasta in quella scuola, così Daniel l’avrebbe persa per sempre.
Wendy, la sera prima dell’ultimo giorno di scuola, aveva litigato con Buddy e aveva pianto a lungo, sola, nella sua stanza.

L’ultimo giorno di scuola Daniel si decise. Capì che doveva farlo, che non poteva lasciarsi scappare una ragazza così.
Gli ci volle molto tempo per racimolare il coraggio necessario, ma ora era deciso a dirle tutto quello che provava. Pensava che, così, almeno, si sarebbe messo il cuore in pace e che qualsiasi cosa lei avesse detto, quell’agonia sarebbe finalmente terminata.
Salì le scale e giunse davanti alla porta della classe di Wendy, chiuse la mano a pugno e la alzò per bussare.

Dentro la classe, Wendy, pensava che era stata una stupida a stare per tutto quel tempo con Buddy, che c’erano molti ragazzi che, al contrario di lui, avrebbero potuto darle quello che lei desiderava: allegria, dolcezza, considerazione, come persona e non soltanto per il suo corpo.
Pensò a quel ragazzo,
(come si chiamava?)
che aveva urtato, ormai, mesi fa,
(non lo sapeva… Non gliel’aveva mai chiesto)
a come l’aveva aiutata spontaneamente, e a quello sguardo.
(Aveva sentito qualcosa? Sì… qualcosa…)
Gli sarebbe piaciuto da morire che quel ragazzo fosse entrato in quel momento e l’avesse portata via di lì, con sé… Una lacrima calda cadde sul quaderno aperto…
Daniel sentiva dentro di sé una moltitudine di sentimenti contrastanti: paura, esaltazione, vergogna…
Stava quasi per bussare quando, con la coda dell’occhio, notò qualcuno che lo stava guardando, dal fondo del corridoio. Si voltò… E vide un ragazzo magro, pallido, spettinato, che lo fissava spaventato.
Era lui stesso.
Quella che stava guardando era la sua immagine nello specchio del bagno.
Fissò di nuovo la porta davanti a sé.
-Ma no… - pensò - …cosa ti salta in mente, Daniel. Tu sei un perdente, lo sei sempre stato. Lei invece è la ragazza più carina della scuola e il suo ragazzo ti spaccherebbe la faccia se soltanto sapesse che le hai rivolto la parola… E poi cosa credi che succederebbe? Uscirà dalla classe e… e tu che cosa le dirai? “Dalla prima volta che t’ho vista mi sono innamorato di te?”… Suvvia, ti riderebbe in faccia! Risparmiati quest’ultima umiliazione…
Daniel abbassò il pugno e si trattenne a forza dal piangere lì, in mezzo al corridoio.
Girò i tacchi e si diresse verso le scale.

C’è una morale in questa storia? Non lo so… Ma so che, a volte, siamo così affezionati alle nostre lacrime da non poter asciugare quelle degli altri.

Posted in Racconti

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