Il Prezzo del Potere

1990 by abietto

“Quando è buio abbastanza, si vedono le stelle.”
(Charles Austin Beard)

Steven voleva diventare un mago.
L’idea gli era venuta molto tempo prima, quando era ancora un bambino. Alcuni dicevano che questa sua ossessione era soltanto un capriccio infantile, ma il miraggio della magia non lo aveva abbandonato lungo l’aspro cammino degli anni. Nonostante ciò, Steven aveva molti amici, da cui era amato e rispettato, e aveva una ragazza meravigliosa di cui era innamorato profondamente. Amava la compagnia dei suoi amici. Non di rado brindavano con boccali spumeggianti di birra, alla locanda del paese, o camminavano insieme, in loquaci silenzi, per i sentieri che portavano al bosco. Poteva dire di essere un ragazzo molto fortunato; aveva tutto ciò che poteva desiderare, nella sua concezione semplice di vita.
Tranne la magia.
Eppure sapeva di possedere quel “dono”: a volte credeva di poterlo sentire attorno a sé, come una sorta di elettricità, di energia, nell’aria.
Ma quando la chiamava, la magia non veniva a lui.

Venne l’inverno al villaggio di Steven, e fu molto rigido: la neve, scesa fitta dal cielo, poi si sciolse e piovve per giorni. Il vento gelido sferzava i viandanti strappando lacrime ai loro occhi.
E con l’inverno, vennero anche i lupi.
Scesero dalle montagne tanto affamati da attaccare gli uomini del villaggio, contrariamente alle loro abitudini. Al principio i cacciatori e i conciatori di pelli furono contenti: bastava un’esca per catturare i lupi più incauti che si avvicinavano troppo; ma dopo qualche luna, l’entusiasmo si trasformò in inquietudine e tensione: i lupi sembravano non arrendersi mai.
Sally, una bambina di tre anni, fuggita da casa per gioco, venne trovata parzialmente sbranata, distesa sulla neve rossa del suo stesso sangue.
Il panico cominciò a serpeggiare nel villaggio.
Gli uomini che ritrovarono il corpo della piccola, videro l’espressione di orrore e di estremo dolore nel fondo dei suoi occhi spenti, e impazzirono. Durante le notti si accesero fuochi, si fabbricarono rudimentali barricate di legno per tenere lontani i lupi. Ma, alla fine, fu tutto inutile.

Il giorno in cui i lupi entrarono nel villaggio, sfondando le barricate, ignorando la loro paura ancestrale del fuoco (forse guidati da chissà quale terribile stregoneria), Steven era in locanda con la sua compagna.
Leila, così si chiamava, era bellissima. Lui adorava i suoi lunghi riccioli biondi e il modo che aveva di sorridere, arricciando il naso.
I lupi entrarono, e fu il caos.
Tutti cercarono di barricarsi in casa, ma i lupi sfondarono le finestre; chi era fuori di casa cercò riparo fuggendo, ma i lupi lo raggiunsero; i cacciatori cercarono di difendersi con le loro armi, ma i lupi erano troppi e li sopraffecero. Steven uscì dalla taverna tenendo Leila per mano ed entrò nel caos del villaggio. Un lupo nero grosso e sbavante si pose improvvisamente fra i due.
Steven cominciò a urlare.
Il lupo balzò su Leila afferrandola a un braccio con le fauci giallastre e bavose, mentre il ragazzo alzò una mano; l’urlo si fece acuto e disumano, sopra qualsiasi altro rumore.
Un fulmine scarlatto balenò dalle dita di Steven avvolgendo Leila e il lupo, ma solo quest’ultimo venne colpito dall’incantesimo. Venne scagliato a terra a diversi metri di distanza, fumante e contorto. Steven si accasciò a terra. Gli sembrava di essere riuscito finalmente a fuggire da un incubo. Gli altri lupi, spaventati, si ritirarono.
Quando anche l’ultimo lupo abbandonò il villaggio, i suoi abitanti cominciarono a uscire nelle strade.
-Steven, cos’è mai questa stregoneria? - chiese uno.
-Hai fatto un patto con Satana per salvare te e la tua donna! - disse una donna che aveva perso marito e figli.
-Dobbiamo mandarlo via di qui, o porterà l’ira di Dio su questo villaggio! - gridò un terzo.
La piccola folla cominciò a gridare e a spingere Steven verso le porte del villaggio. Lo picchiavano, lo insultavano: fino a un giorno prima erano stati i suoi migliori amici.
Leila era troppo confusa per parlare, per capire, ma seguì la folla, con la vista oscurata da una nebbia che sembrava dentro i suoi occhi. Steven fuggì nella notte e, stranamente, i lupi non lo attaccarono.
Leila lo seguì.

Dopo un giorno di vagabondaggio, Steven si accasciò al suolo, esausto. Il sonno cominciava a prendere il sopravvento, ma c’era qualcosa di più importante, qualcosa che non riusciva a capire. Sentiva dentro di sé un enorme vuoto. Il posto che prima occupavano le amicizie e gli affetti del suo villaggio ora era soltanto desolazione. Soffriva, sopra ogni altra cosa, poiché non riusciva a capirne il perché. Troppe domande gli ronzavano in testa, era successo tutto troppo in fretta perché se ne rendesse davvero conto. In fondo al suo animo, però, un brano di coscienza esultava. Quella era stata magia!
La chiamo a sé, ma essa non venne.
Allora, distrutto e sconvolto, sentì il sonno tornare e gli si arrese.
Si svegliò disteso nel prato ghiacciato di rugiada di una collina a nord del villaggio. La nebbia copriva quasi ogni cosa nella valle. Si tirò a sedere e vide, davanti a sé, confusa e lontata, un’ombra dondolare nella nebbia.
Pensò: -Ecco qui… Forse ho davvero fatto un patto con Satana e ora gli spiriti dei morti vengono a strapparmi l’anima…
Ma non era uno spettro.
Era Leila.
Era ammalata, e Steven la portò sulle spalle finché non trovarono un rifugio abbastanza sicuro. Si trattava di una grotta poco profonda. Fece un piccolo giaciglio di foglie morte ed erba e vi posò Leila.
Durante tutti quei giorni tristi e penosi, Steven la aiutò, cercando di alleviare le sue sofferenze. Il lupo che l’aveva morsa doveva essere rabbioso; Leila aveva contratto quel terribile male. Diede tutto sé stesso a quella ragazza che, ora, rappresentava il suo unico legame col passato, l’unica persona per cui valesse la pena di vivere, l’unica luce che lo rischiarava nell’oscurità che gli si era stretta improvvisamente intorno.
Leila morì.
L’oscurità si infittì attorno a lui, tanto che gli parve di essere cieco.
Ma in lontananza, dentro di lui, nelle notti insonni, si rese conto che un’altra luce illuminava il suo cammino; una luce troppo piccola e lontana perché potesse essere notata prima.
Ma ora era tutto ciò che gli rimaneva (e sapeva di averla sempre avuta), così si aggrappò a quella stella e la tirò più vicino, giorno dopo giorno, fino a che non inondò il suo essere saturandolo e scorrendo, come linfa vitale, nelle sue vene.

E la magia venne a lui.

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