La Foresta Incantata

1991 by abietto

Jack strinse la cinghia della cintura e rimise la spada nel fodero. Stava camminando già da un bel po’, ma non aveva ancora incontrato nessuno… Non un orchetto, non un compagno di avventura, nemmeno una traccia o un indizio che potesse suggerirgli se era sulla strada giusta oppure no. Stava cominciando decisamente a stancarsi. Si sedette su un grosso masso sul lato destro del sentiero, tirò fuori la borraccia e bevve avidamente. Il sole era ormai quasi al tramonto, ma riscaldava ancora abbastanza da rendere quella camminata un vero bagno di sudore. Dopo essersi dissetato si accorse di avere molta fame. Rovistò nello zaino e tirò fuori delle gallette e un pacchetto con delle fette di carne. Passò la mezz’ora successiva ad accendere un fuoco e a tentare di arrostire la carne, spiluccando gallette e more, che aveva trovato nei rovi del sottobosco.
Forse non era saggio accendere un fuoco, se c’erano nemici nelle vicinanze… Ma a questo punto cosa importava? Avrebbe di gran lunga preferito combattere e farla finita, piuttosto che continuare a camminare fino alla fine del tempo massimo consentito.
Guardò l’orologio al quarzo al polso sinistro. Sì, è vero, teoricamente sarebbe stato proibito portare oggetti di quel genere durante il gioco, ma nessuno gli aveva controllato lo zaino, all’inizio, e, una volta tanto, Jack ne aveva approfittato. Erano quasi le otto di sera, ormai.
Sospirò forte e si rimise in marcia, zaino sulle spalle.
Erano ormai un paio di mesi che, con i suoi compagni, partecipava a quelle partite di “gioco di ruolo dal vivo”. All’inizio era stato davvero molto divertente, ma poi, come per ogni cosa della sua vita, l’abitudine aveva fatto da corridoio per un ospite indesiderato ma, purtroppo sempre puntuale: la noia.
Si chiedeva se fosse il caso, a ventun’anni, di andare in giro per le foreste con spade imbottite e armature di gommapiuma a far finta di combattere mostri leggendari. Si chiedeva se non avrebbe potuto spendere il suo tempo in maniera più interessante, magari con una bella ragazza. Si chiedeva, in quel preciso momento, soprattutto, dove diavolo fossero finiti gli altri!
Continuò a salire sulle colline; decise che quel giorno la noia non l’avrebbe toccato. Se si era perso non aveva molta importanza: la zona di Parco Nazionale che era stata affidata alla Role-Playing Live Inc. era delineata da recinzioni, e ogni giocatore aveva dei razzi di segnalazione nello zaino, unica concessione alla tecnologia, proprio per casi come quelli. E poi, mentre camminava, passo dopo passo, con lo sguardo a tratti chino sui sassi e i ciuffi d’erba del sentiero e a tratti davanti a sé, salita dopo salita, curva dopo curva, cominciava a non dare più retta a quelle considerazioni cerebrali. Il sole era basso sulla linea sinuosa e femminile delle colline verdi e proiettava ombre lunghe verso di lui, in quell’atmosfera rossa e blu elettrico tipica delle serate estive. Il profumo delle cortecce degli alberi e dei fiori era appena percettibile, ma incredibilmente piacevole.
C’era qualcosa che non andava, ma non gli importava… Continuava semplicemente a camminare, convinto che prima o poi avrebbe incontrato un coetaneo con una buffa maschera di plastica da orco o qualche attempato signore che si divertiva a fare il Gandalf della situazione.

Tuttavia si stupì quando, dietro una svolta del sentiero, si trovò di fronte proprio a un personaggio come quello che aveva immaginato un attimo prima.
Era un uomo, sui settant’anni, con un lungo naso adunco e gli zigomi alti e ossuti. Il volto era incorniciato da una capigliatura e una barba assolutamente candidi e lunghissimi, appena leggermente mossi. La luce del sole morente creava strani riflessi su quella criniera argentea.
La pelle era chiarissima, quasi trasparente, e le sopracciglia folte e lunghe… Ma gli occhi erano dello stesso colore di quel cielo al tramonto.
Rimasero per un po’ così, come imbarazzati, senza parlarsi, guardandosi negli occhi e studiando i rispettivi abiti. Il vecchio guardava, coperto da un semplice saio, appoggiato ad un bastone, le strane armi e la parodia dei vestiti medievali di Jack.
-Oh, finalmente… Ti stavo aspettando.
-Sì, lo immagino,- disse Jack un po’ secco -ho avuto qualche difficoltà, mi devo essere perso. Suppongo di essere fuori gioco, ormai, sono le otto passate e il gioco finisce alle nove.
Il vecchio lo guardò con uno sguardo così stupito che a Jack corsero dei brividi lungo la schiena.
-Gioco? Di cosa stai parlando, giovanotto?
Jack sospirò forte e poi sorrise: -Aaah, capisco, niente riferimenti al gioco finchè non scade l’orario, bisogna far finta che sia tutto vero… Giusto? -disse recitando a memoria parte del regolamento di partecipazione.
-Beh, può darsi che dalle tue parti ci siano strani modi di dire, ma non capisco proprio quel che stai dicendo.
-Sì, beh, d’accordo, ma adesso vorrei raggiungere… Ehm, il confine della Foresta Incantata, in modo da prendere il mio carro e tornarmene a casa. -rispose con aria esasperata.
-Non è così facile uscire dalla Foresta.
-Sì? Scommetto che tu sei la mia guida nel sentiero, e magari sei qualche mago potentissimo che mi deve condurre alla salvezza, ho indovinato?
-No, non posso condurti da nessuna parte. Dalla foresta si può uscire soltanto contando su sé stessi.
-Ah, ho capito, una specie di ultima prova, giusto?
-Semmai la prima prova… Comunque mi sembra che tu faccia un po’ troppe domande strane e inutili. Non vuoi sapere, piuttosto, come si fa a uscire dalla Foresta?
-Sì, certo, te lo stavo per chiedere!
-Allora non parlare più e vieni con me.
Senza aggiungere altro il vecchio si girò e cominciò ad inoltrarsi nel fitto sottobosco; Jack lo seguì con cupa rassegnazione.

Dopo qualche minuto si accorse che non stavano camminando semplicemente dentro il bosco, fuori dal sentiero, ma su un altro sentiero molto meno chiaro e segnato di quello principale. Poteva essere semplicemente il vecchio tragitto dell’abbeverata degli animali, o una pista ormai abbandonata.
Giunsero in una radura insospettabile, al centro della foresta. Ormai il sole era calato quasi totalmente, la luce era fioca, soprattutto tra la vegetazione. La radura era chiusa a sud, est e ovest da un fitto betulleto dai lunghi fusti argentei. A nord una grossa roccia si ergeva dal tappeto erboso costellato di margherite. Uno squarcio nella roccia, chiuso da un cancello di ferro battuto arrugginito, rivelava l’entrata di una caverna.
-Ecco, prode avventuriero, questa è l’unica uscita dalla Foresta Incantata. Le magie che la avvolgono non ti lascerebbero più andar via… Si sa, gli Elfi sono alquanto capricciosi. Ma su questo luogo non hanno alcun potere, poiché è molto più antico di loro e dei loro incantesimi. Ahimé, la cura, a volte, è peggiore della malattia stessa. Questa caverna è la dimora di un terribile Demone che venne incatenato su questa terra da un grande eroe del passato. Molti mostri, suoi alleati, si nascondono in quella oscura e umida caverna: Orchi Bicefali armati di asce e scuri, Centauri Neri abilissimi con balestre e archi, Stregoni e Negromanti che hanno venduto l’anima al Demone in cambio di un immenso potere, Elfi Scuri, Gnomi e Coboldi, Ragni velenosi figli della Grande Antica e molte altre creature ancora, che nessuno è mai riuscito a vedere. Pochi di quelli che sono entrati in quella caverna sono poi riusciti ad uscirne vivi, e i loro racconti sono stati materiale per i canti dei bardi e per i bestiari degli studiosi per centinaia di anni.
Jack sospirò; quanto sarebbe durata quella manfrina? Okay, okay, i suoi compagni erano lì dentro insieme a qualche bestione truccato, d’accordo… Allora perché si sentiva così preoccupato?
-Va bene -disse alla fine- sono pronto.
-Pronto? Con una spada di legno e un’armatura imbottita? No, aspetta, ho preparato qui vicino qualcosa per te. Così dicendo il vecchio si allontanò sparendo di nuovo tra il verde degli alberi, aggirando con cura la roccia. Tornò dopo pochi minuti con un grande sacco sulle spalle, che posò a terra accanto al giovane sempre più esterrefatto.
Il vecchio, che non aveva ancora rivelato il suo nome, aprì il sacco e cominciò a tirar fuori, con grande rumore di ferraglia, dei pezzi di un’armatura, uno scudo e una spada.
Jack si chinò a osservare quegli strani oggetti e sgranò gli occhi: sembravano proprio autentici, non la ricostruzione di un mastro armaiolo del ventesimo secolo, non dei pezzi antichi riparati… Ma semplicemente autentici e forgiati pochi giorni prima, puliti, oliati e decisamente inquietanti.
-Questa è Pelirün, la Spada dei Padri. Quando il nemico sarà vicino salterà fuori dal fodero e si poserà sulla tua mano. È leggera come la piuma di un cigno, ma micidiale come il soffio di un Drago. Non usarla con leggerezza e sii degno del suo lignaggio. -disse il vecchio stregone porgendogli una spada fasciata in un fodero finemente ingioiellato. Jack la prese e la sfoderò… E la lama cominciò a pulsare nella sua mano. Un forte capogiro lo costrinse a sedersi… Non è possibile, pensò, che abbiano organizzato tutto questo! La roccia con il cancello può ancora andar bene, ci sono stranezze del genere nei vecchi parchi dei nobili inglesi. L’armatura poteva essere autentica e particolarmente ben tenuta, sebbene in stato davvero incredibilmente buono… Ma quella spada era esattamente come lui si era sempre immaginato una lama magica.
-Indossa la tua armatura e imbraccia il tuo scudo. Ora è tempo di andare, Jack!
-Come sai il mio nome? -chiese stancamente, ormai qualunque spiegazione poteva essere accettabile.
-So molte cose, ma non so tutto. Non so, per esempio se accetterai di entrare nella caverna e di provare a combattere il Demone. Non so se ce la farai o se morirai come tanti altri prima di te…
-Io devo andare, adesso. Ho la mia Ford parcheggiata nel posteggio riservato ai soci, ho la mia autoradio e le mie cassette con i Pink Floyd e Paul McCartney, i miei amici mi staranno già aspettando in pizzeria e staranno sorseggiando una fresca Coca Cola, non quest’acqua che, a forza di stare nella borraccia, sa di fogna. Lasciami andare, per favore…
-Non riesco proprio a capire alcuni dei tuoi modi di dire, eppure parliamo la stessa lingua. Non so cosa sia una Ford e nemmeno un’autoradio. Ma per raggiungere i tuoi amici, se essi si trovano all’esterno della Foresta, dovrai per forza prendere la tua armatura, il tuo scudo, la tua spada ed entrare in quella caverna. Oppure puoi tirarti indietro, rinunciare e rimanere per sempre nella Foresta Incantata. Soffrirai molto, nei cunicoli e nelle grotte del Demone, forse rimarrai ucciso. Ma non c’è altra scelta.
Jack non riusciva più a respingere quell’idea, per quanto ci provasse. Forse era ancora solo un gioco particolarmente raffinato e curato, nei minimi dettagli, ma se non era così…
Se non era così , allora aveva una ragione in più per proseguire: tornare a casa.
Si alzò, si svestì delle buffe imbottiture della Role-Playing Live Inc. e si mise l’armatura. Appese la spada alla cintola e infilò il braccio sinistro nell’impugnatura di cuoio del grosso scudo rotondo.
Si sentiva pesante, goffo, impacciato.
Guardò il vecchio ancora per un attimo, poi si diresse verso il cancello. Lo tirò e sentì cigolare gli antichi cardini, che probabilmente non avevano mai conosciuto l’olio, con un rumore spettrale, da vecchio film dell’orrore.
Quando era quasi del tutto entrato sentì il vecchio che diceva: -Ora sì che ti stai comportando da eroe, Jack.
Si girò a guardarlo.
-No, mi sto comportando come un uomo disperato.
Il vecchio incurvò le labbra in un sottile sorriso ironico.
-E che differenza c’è? -rispose.

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