Al di là della Collina

1994 by abietto

Mi chiedi se conosco la leggenda del Viaggiatore?
No, non conosco tutto ciò che è stato detto di lui, non conosco la leggenda che lo accompagna in questi anni in cui il cuore degli uomini è immerso nella paura e nella rassegnazione.
Ma conosco la verità.
Ho conosciuto il Viaggiatore quando ero bambino. No, aspetta: ho sentito dire che i Bardi e le genti libere lo credono un essere millenario, ma non è così. Ascoltami, vuota la tua mente da stupide dicerie da comari e presta attenzione alle mie parole.
Egli camminava su queste terre non più di un centinaio di anni fa.
Io ero un bambino, a quel tempo; un bimbo che sapeva a malapena camminare e pronunciare qualche parola.
La storia del Viaggiatore, amico mio, è stranamente intrecciata con la mia… Forse è per questo che sono tanto vecchio, forse dovevo raccontarla a qualcuno prima di morire.

Egli giungeva al nostro castello abbigliato con i colori delle sere d’estate, ammantato nel buio delle notti primaverili, tempestate di stelle fredde, cavalcando uno stallone grigio come il suo nome: Cenere.
Nessuno avrebbe avuto il coraggio di alzare il ponte levatoio al suo arrivo, nemmeno quando la guerra e la pestilenza vessavano le nostre contrade. Anzi, proprio in periodi come quelli era ancora più gradita una sua visita, e gli uomini sorridevano nella sala del trono, ascoltando le sue storie e bevendo vino, e le donne sospiravano con il cuore gonfio di malinconia, incontrando il suo sguardo verde come i prati di Camerlach.
Entrava e accettava con gioia e con dignità ogni frutto o boccale che gli venisse offerto. Non ricordo di averlo mai visto una volta dire di no, anche quando era sazio, anche quando aveva vuotato molti calici, pur di non offendere una dama o un cavaliere.
Si sedeva insieme a noi e d’improvviso non c’erano più servi e signori, guardie o stallieri… Eravamo tutti lì intorno, a guardarlo come se potesse svelarci i Nove Segreti degli Dei.
Dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, come si suol dire nelle favole che si raccontano ai bambini per farli addormentare, si appoggiava la piccola arpa sulle ginocchia e cominciava a raccontare le storie dei suoi viaggi, accompagnandosi con quel suono.
“Ora basta con le storie”, diceva, “non ti sembra che sia ora di andare a dormire? È tardi per un giovanotto come te!”
Ma io sapevo che solo i bambini venivano messi a letto presto, mentre gli adulti rimanevano ancora a lungo ad ascoltare altre storie, i racconti delle sue avventure con le dame delle contrade che aveva visitato. E i cavalieri ridevano e si davano di gomito, e le donne arrossivano, oppure, al termine di una storia triste, tutti osservavano il pavimento in terra battuta come se cercassero una Corona d’Oro persa chissà dove.

Anno dopo anno egli tornava da noi. Anno dopo anno aveva visitato nuovi luoghi, alcuni dei quali non si erano mai sentiti nominare nemmeno dai Maghi e dai Bardi più avventurosi. Eppure nessuno dubitava della sua buona fede, o meglio, a nessuno importava che quelle storie fossero vere o meno: erano tanto belle che il semplice fatto di ascoltarle valeva un anno (e talvolta molto di più) di attesa.
Io crebbi, ma il Viaggiatore sembrava non invecchiare mai. A quell’epoca gli uomini lo guardavano con il rispetto che si porta a un vecchio e saggio Elfo, nonostante non sembrasse più vecchio di un uomo che aveva visto cinquanta inverni.
Cominciai a parlare con lui, a non lasciarlo in pace nemmeno quando ormai il sole cominciava ad arrossare il cielo a oriente. Parlavamo di molte cose: di popoli fantastici, di fanciulle incantevoli, di orribili draghi e di splendidi cavalieri. Parlavamo della meschinità dell’uomo, e di come, talvolta, sia inestricabilmente intrecciata con la sua dolcezza e il suo coraggio. Ma più di tutto questo a me interessava il Viaggiatore, la sua vita, il suo modo di vedere il mondo.

Fu in una serata strana, in cui il temporale scagliava fulmini tanto poderosi che si vedevano a moltissime miglia di distanza, tanto che non udivamo nemmeno il ruggito disperato del tuono, che lo vidi per l’ultima volta. Quella sera notai per la prima volta che la sua barba era diventata quasi del tutto bianca, e che i suoi occhi, sorridendo, venivano imprigionati in una ragnatela di rughe.
“Mi chiedo” - gli dissi - “perché io e la mia gente stiamo qui, in questo castello, facendo sempre le stesse cose, vedendo sempre le stesse facce e pronunciando sempre le stesse parole, giorno dopo giorno. Mi chiedo perché siamo tanto affascinati dalle tue storie, se tanto diversa è stata la nostra scelta. Mi chiedo cosa ti spinge ad andare sempre altrove, senza mai fermarti a prendere fiato. Come facciamo a essere così simili, se siamo così differenti?”
Mi rispose con la sua voce dolce e melodiosa.
“C’è chi resta e chi viaggia. Entrambi possono essere folli oppure saggi. Ognuno segue la sua natura, tranne chi non la conosce e la sta cercando. Per alcuni cercare la propria natura è la propria natura. Per me un luogo solo è troppo, una dama sola è troppo, una vita sola è troppo.
Ho visto le chiome degli alberi della foresta di Quendinorê incendiarsi con il calar del sole e i loro fusti argentei risplendere come la lama di una spada d’oriente, alla luce delle stelle. Ho visto i Nani scendere in guerra con le loro enormi Maschere Gialle e mettere in fuga i padri dei Draghi. Ho sentito la magia scorrere in me nel Monastero del Salice e il Male distruggere le opere dei Giganti. Ho amato cento donne e ho varcato mille porte, ho cavalcato decine di cavalli e ho viaggiato su carri e navi, ho percorso sentieri segreti che tu non riusciresti mai a trovare.
Eppure nessun paesaggio, nessuna donna, nessuna canzone, sono come ciò che c’è oltre la collina. Non conosco altro modo di vivere, per me, e non posso vivere in altro modo. Questa è la mia risposta, ma, purtroppo, non risponde a nulla”.

Ero giovane e avrei voluto andare con lui e lasciare il mio castello. Forse un altro lo avrebbe fatto e sarebbe stato folle, oppure saggio.
Io rimasi e aspettai che il Viaggiatore tornasse, ma non venne più ad allietare i nostri tornei e i nostri banchetti.
Ora so che ho fatto la scelta giusta per me. Ma non esiste una ragione, non esiste uno scopo. Non esiste scelta giusta o sbagliata.
Come disse il Viaggiatore, ognuno deve vivere secondo la sua natura, o perire nel tentativo di cercarla.

Questa è la verità sul Viaggiatore.

Come vedi, amico mio, dopo tutto era un uomo.

Posted in Racconti

Leave a Comment

Please note: Comment moderation is enabled and may delay your comment. There is no need to resubmit your comment.

 
© 2000-2008 Abietti si Nasce Powered by Wordpress - ASN Theme by abietto based on the Minami theme.