Da una Lacrima sul Viso

2003 by abietto

It’s not going to stop
No, it’s not going to stop
It’s not going to stop
‘Til you wise up

Aimee Mann - Wise Up

1 - L’uomo è l’unico animale che sappia piangere.

Era in ritardo. Anche questa volta. Sergio controllò nervosamente l’orologio che gli comunicò spietatamente che non sarebbe mai arrivato davanti al cinema Atlas alle 22 per il semplice fatto che erano le 22,10. Avrebbe dovuto uscire di casa prima, avrebbe dovuto prendere il caffè nel locale, prima dell’inizio del film, invece che aspettare che sua madre glielo portasse in bagno, mentre, in un tornado di talco, deodorante, profumo, schiuma da barba e dentifricio, tentava di ordinarsi nel modo più attraente possibile. D’altronde era giusto e comprensibile, no? Avrebbe visto Luisa, davanti al cinema. Era questo che continuava a ripetersi mentre attendeva che la metrò si fermasse alla stazione e lui potesse scendere. Era tutto perfettamente comprensibile e giustificabile. Le scarpe nuove, la giacca, i sei cotton-fioc che aveva usato per assicurarsi di avere le orecchie tanto pulite da poter lanciare lo sguardo attraverso il cranio. Tutto perfettamente comprensibile e giustificabile: c’era Luisa. Ma se era tutto così ovvio, scontato, comprensibile, perché si ripeteva in continuazione che tutte quelle attenzioni, quella mezz’ora passata a farsi la barba in modo maniacale usando due rasoi elettrici e un bilama “usa-e-getta”, quei dieci minuti buoni a scegliere le calze, erano, appunto, innocue, innocenti e, soprattutto, giustificabili? Scacciò decisamente questo pensiero, questo dubbio, dalla sua mente non appena gli si presentò, neanche fosse un rappresentante dei Testimoni di Geova che veniva a bussare al suo uscio mentale. La metrò era finalmente arrivata e l’orologio, beffardo, continuava inesorabilmente a fargli notare che erano ormai già le 22,13. Certo, tredici minuti di ritardo non sono poi granché, a meno che, ovviamente, lo spettacolo non sia alle 22,30 e tu sia quello che deve prendere i biglietti per tutti. In quel caso tredici minuti diventano un’eternità incolmabile, un abisso di irresponsabilità, un vortice di negligenza, di cazzoneria. E se non fosse riuscito a prendere i biglietti? E se per questo avesse fatto una brutta impressione su… Luisa? In un angolo del suo cervello aveva come l’impressione che quello non fosse il primissimo nome che gli era venuto in mente. Ma ormai stava correndo verso il cinema a gambe levate, contando mentalmente i secondi che lo separavano dallo scoccare del prossimo crudele minuto.

Claudio arrivò poco dopo che Sergio era riuscito miracolosamente a portare a termine la sua missione. Arrivò come sempre, con un’aria tra il distratto e lo snob, vestito in modo naif, con un paio di improbabili occhiali dalle lenti rosa e l’immancabile sigaretta in bocca. Nei dieci metri che lo separavano da Sergio, da quando questi era riuscito ad avvistarlo in mezzo alla folla che si accalcava attorno alla cassa del cinema, riuscì per ben due volte a estrarre il cellulare per svariati e ignoti motivi. Salutò Sergio con un cenno del capo, senza rivolgergli la parola, mentre sembrava attendere che qualcuno, dall’altra parte delle radiazioni elettromagnetiche, rispondesse alla chiamata.
-Sì, ciao anche a te – rispose ironicamente Sergio.
-Pronto? Allora, dove siete? Sì, OK, Tutto bene. Cia’, cia’ – disse Claudio al telefono. Chiuse il copritastiera con uno scatto che ricordava quello del caricatore di una pistola automatica e disse: -Hai preso i biglietti?
Sergio mostrò senza profferir parola i quattro tagliandini di carta colorata sorridendo. -Bene. È molto che aspetti?
-Beh, a dir la verità non molto, ero un po’ in ritardo.
Claudio sorrise: -Eh, ti sei fatto bello… chissà come mai! – Disse ghignando malignamente.
Forse il motivo di tante attenzioni non era poi tanto ovvio e giustificabile, pensò tristemente Sergio… Tutti i suoi sforzi evidentemente non erano serviti a molto. Evitò comunque di commentare la battuta.
-Allora? Sono in ritardo anche loro, a quanto pare – disse dopo un attimo di silenzio. Claudio si voltò intorno e poi, come se la cosa fosse preparata, disse: -Eccole! – indicando due ragazze, Luisa ed Alessia, che si stavano avvicinando facendosi largo tra la ressa.

La sala buia aveva sempre avuto un ché di magico per Sergio. Ogni volta che entrava in una sala cinematografica e si sedeva, con l’inevitabile cestello di pop-corn da una parte e la walky cup della Coca dall’altra, si sentiva tornare indietro nel tempo, come se l’intero edificio altro non fosse che un’enorme macchina del tempo che lo riportava invariabilmente all’età mentale di undici-dodici anni. I film di fantascienza e gli horror, in particolar modo, avevano questo effetto. Aveva sempre trovato molto povere di spirito le persone che uscivano dal cinema criticando il film prima ancora di averlo digerito, quasi come se volessero affermare la proprià dubbia individualità intellettuale al regista insegnandogli come avrebbe dovuto fare il suo lavoro. Lui lasciava che questo snobismo radical-chic da “bar sport” si autopunisse e preferiva di gran lunga conservare intatto il “sense of wonder” della sua età più verde. Pensava che gli amanti dei “d’essai” e del cosiddetto cinema “impegnato” si perdessero molto. In fondo lui si divertiva e loro no, chi ci guadagnava nel cambio? Questo non significa che non amasse anche lui la cinematografia più profonda e meno spettacolare, semplicemente pensava che la maggior parte delle persone che si presentavano come “cinefili”, in realtà stessero mostrando un atteggiamento predigerito e non sapessero nemmeno da che parte cominciava quel medium tanto magico e creativo. Quando usciva, con la mente ancora immersa nell’atmosfera del film che aveva appena visto, gli piaceva abbandonarsi ai ricordi recenti, al “gioco di ruolo” mentale del cambiare le cose, il finale, gli avvenimenti. All’idea di essere il protagonista. Solo dopo arrivava il momento del distacco e della critica, quando era sicuro di essersi goduto fino in fondo le emozioni, negative o positive che fossero, che la pellicola poteva offrire. Era come alzarsi da tavola subito dopo pranzo e mettersi a pensare ad altro: a volte era necessario, ma lui preferiva arrivare al caffè e al limoncino prima di riaccendere la mente critica da trentenne.
Era stato insieme a Frodo su Colle Vento, rabbrividendo per l’avanzata terribile dei Nazgul, aveva indagato insieme a Daneel Olivaw sulle tracce di uno strano omicidio, aveva combattuto fianco a fianco a Obi-Wan Kenobi e aveva cavalcato con Bastian nei cieli di Fantàsia… Aveva strisciato nelle fogne di Derry e aveva corso a perdifiato per sfuggire alle grinfie di demoni e zombie… Molte cose dividevano lui e Claudio, ma quel luccichio negli occhi, in quegli sguardi tra l’impaurito e l’eccitato di chi è al culmine di un ottovolante prima dell’inizio del film, li rendeva fratelli.
Non poteva aspettarsi un simile luccichio negli occhi di Luisa e Alessia, erano ragazze! E infatti non se lo aspettava. Forse per questo quello che accadde verso la metà del secondo tempo lo scosse tanto.

2 – Ne consegue che i coccodrilli non piangono.

Il film in sé non era eccezionale. Forse la cosa era dovuta al fatto che era stato scelto insistentemente da Luisa e Alessia. Si trattava di una commedia rosa americana con un paio di attori di grido, con qualche intuizione decisamente interessante immersa in un mare di banalità e di concessioni alle esigenze di botteghino. Altre persone l’avrebbero definita “un’americanata”. Sergio non sopportava questa parola. In genere rispondeva che le “italianate” erano spesso ancora meno originali e divertenti.
La pellicola aveva comunque alcuni spunti coinvolgenti. Forse sarà stata l’atmosfera della serata, la presenza del suo amico e di queste due ragazze, le emozioni che comunque gli dava il fatto di starsene seduto in un cinema… Sarà stato tutto questo e altro ancora, ma rimane il fatto che Sergio si stupì di sentire delle lacrime che gli rigavano le gote proprio durante l’immancabile colpo di scena da manuale della sceneggiatura, a metà del secondo tempo.
C’è da dire che lo stupore provocato da questa sua reazione non era niente a confronto di quello che avrebbe provato di lì a pochi minuti. Ma per capire la dinamica di questa scena sarà utile descrivere i posti in cui si erano seduti i nostri simpatici amici.
Essendo entrati praticamente all’ultimo momento, la sala era già strapiena. Avevano infatti trovato posto soltanto in una fila laterale di poltrone, quasi all’estrema sinistra del cinema. All’inizio le posizioni, da sinistra a destra erano le seguenti: Claudio, Alessia, Sergio, Luisa. Normale, previsto, scontato… i due single che stavano flirtando, la coppia “in formazione” e di seguito la coppia “fissa”. Se non che alla fine del primo tempo Sergio e Claudio si erano alzati per andare a fumare una sigaretta e per andare in bagno, mentre le ragazze erano rimaste dentro a parlottare tra loro. Quel linguaggio oscuro e segreto che tutte le donne del mondo capiscono e che nessun uomo riuscirà mai a decifrare.
Anche Sergio e Claudio avevano cominciato a parlare, mentre facevano la pipì e tiravano potenti aspirazioni dai filtri delle due Marlboro Medium.
-Allora, come va? – chiese Sergio, mentre Claudio era all’interno del piccolo bagno degli uomini.
-Come va cosa? – rispose Claudio. Claudio amava fare lo gnorri.
-Come va con Alessia… cos’altro?
-Mah… che ti devo dire… quella è strana.
-Strana? In che senso?
-Beh, lo sai come sono fatte le donne… prima dice una cosa, poi si contraddice… prima sembra volersi comportare in un modo, poi sembra prendersela se ti avvicini…
-Tutto molto normale finora, direi.
-Sì, solo che in genere qualche segnale più o meno inequivocabile viene lanciato… qualcosa a cui ci si possa aggrappare, una sorta di boa di segnalazione che ti mostra la rotta. Così sai che, anche se si sta ancora giocando al gioco della seduzione, c’è un motivo valido per giocare… In questo caso, invece, non saprei proprio cosa dire… i segnali sono talmente contraddittori.
Claudio tirò l’acqua e uscì, chiudendosi la porticina alle spalle.
-Sai… è strano sentirti parlare così… - Disse Sergio guardandolo di riflesso attraverso lo specchio, mentre Claudio si lavava le mani nel lavandino giallognolo.
-Perché?
-Beh… tu sei sempre stato un tipo così deciso, sicuro… da un po’ di tempo a questa parte mi sembri un po’ confuso anche tu.
-La gente cambia. Questa storia forse mi sta prendendo più di quello che dovrebbe. – Rispose Claudio bruscamente, voltandosi.
Sergio scrollò le spalle. Buttò la sigaretta nel cestino della spazzatura dopo averne bagnato la punta incandescente sotto un filo d’acqua che scendeva dal lavandino.
-E tu, invece? Come va? – Chiese Claudio con un sorrisetto ironico.
-Cosa? – Rispose Sergio, sorridendo sornione a sua volta. Gli piaceva rivoltare le armi di Claudio contro di lui.
-Come cosa? Con Luisa… cos’altro? – A sergio parve che quest’ultima frase avesse una strana connotazione ironica, una sottolineatura che non gli piaceva affatto.
-Bene, bene…
-No, te lo chiedo perché mi sembra che tu ti stia prendendo molto a cuore la storia tra me e Alessia – Continuò Claudio sorridendo, anzi, ghignando.
-Non dire sciocchezze. – Tagliò corto Sergio.
-Beh… volevo solo essere sicuro che…
-Che il film stia per iniziare – Lo interruppe Sergio. –Sarà meglio rientrare.
Questa volta toccò a Claudio fare spallucce e sporgere il labbro inferiore. Ma il dialogo aveva occupato più tempo di quanto non fosse sembrato ai due amici, che corsero nella sala buia e nella fretta si scambiarono i posti.

Ed eccoci alla metà del secondo tempo. Scena coinvolgente. A Sergio si inumidiscono gli occhi. Si stupisce di questa sua reazione. Di fianco a lui c’è Alessia, poi Claudio, poi Luisa. Ora le coppie sono scombinate. C’è qualcosa che non torna. Ma cosa?
Dato che erano tutti seduti all’estrema sinistra della sala, stavano tutti guardando verso destra e in alto, cioè nella direzione esattamente opposta alla posizione di Sergio, che si trovava in fondo, vicino al corridoio. Fu per questo che gli ci volle un po’ per capire cosa c’era che non andava. E cioè che Alessia stava guardando verso sinistra. Stava guardando lui. Sergio si voltò a guardarla. La scena aveva fatto scendere un paio di lacrime anche sul suo volto. Mentre la guardava negli occhi ancora attonito, lei allungò lentamente un dito e, con un lieve sorriso sulle labbra, gli asciugò le lacrime dal volto. Lo stupore di Sergio raggiunse a questo punto il massimo grado.
Poi Alessia si girò di nuovo a guardare il film e non gli rivolse più neanche uno sguardo.

All’uscita del cinema i quattro decisero di andare a bere qualcosa in un simpatico locale, chiamato “Close Encounters”, che non si trovava troppo lontano. Si sedettero… Luisa e Sergio da una parte del basso tavolino, e Claudio e Alessia dall’altro lato. La discussione restò su toni piuttosto scherzosi e di circostanza per un po’, fino all’arrivo del primo giro di drink: il Gin Lemon di Claudio, la Guinness di Sergio, il cocktail analcolico di Luisa e il cocktail alla frutta di Alessia. Commenti sul film, sul tempo atmosferico, su quanto sia difficile trovare parcheggio di questi tempi, eh sì, soprattutto quando lavano le strade, che vergogna.
Sergio aveva un serio problema… Era seduto con la schiena appoggiata alla poltroncina in colore pastello e teneva una mano attorno alla parte bassa della schiena di Luisa, che beveva e parlottava con Claudio. Ma non riusciva a staccare gli occhi di dosso ad Alessia. Aveva stampato sul naso un punto di domanda enorme, l’espressione che faceva ogni volta che apriva la “Pagina della Sfinge” della Settimana Enigmistica.
La cosa ancora più sconcertante era che Luisa e Claudio si erano letteralmente persi nella discussione… e Alessia ricambiava insistentemente il suo sguardo, quasi a sfidarlo ad aprire bocca, a dire qualcosa… a dare inizio alle “ostilità”. A dire il vero Sergio si fece pregare un po’, se non altro perché una parte di lui sentiva che qualsiasi parola avrebbe reso quel momento simile a tanti altri. Ma alla fine, naturalmente, l’imbarazzo e la curiosità presero il sopravvento.
-Grazie. – disse molto semplicemente.
Lei sorrise e abbassò gli occhi sul drink. Poi rialzò lo sguardo e scosse lentamente il capo, socchiudendo gli occhi, come a dire “Di nulla”.
-Certo che siete una strana coppia, voi due. – Disse Alessia alla fine di un altro lungo sguardo silenzioso.
-Io e Luisa?
-Tu e Claudio.
-Perché?
-Beh… siete strani.
-Curioso… lui mi ha appena detto lo stesso di te! – Disse Sergio sorridendo maliziosamente.
-Non farlo. – Disse lei diventando improvvisamente molto seria.
Lui rimase a bocca aperta per una frazione di secondo prima di rispondere: -Cosa?
-Questo. Quello che fate voi di solito. Giocare.
Sergio era sempre più intontito dalla situazione… non riusciva a capire.
-Ma non… era soltanto… non volevo…
-Lo so. – Disse seccamente lei.
-Beh… non è che io e lui – disse Sergio indicando brevemente Claudio con lo sguardo –giochiamo sempre… e soprattutto non è detto che giochiamo allo stesso modo… Siamo molto simili, ma molto diversi in tantissime cose… ad esempio in quello che vogliamo.
-Davvero? Perché, tu cosa vuoi?
Una risposta si formò immediatamente nella testa di Sergio: “Te. Voglio te, dannazione. Te e le tue stramaledette dita che mi asciughino le lacrime. Te e quel tuo strano profumo…”.
Ma naturalmente, disse: -Cosa intendi? Cosa vuoi dire con “tu cosa vuoi”?
-Niente… - disse lei, e distolse lo sguardo. Come per un incantesimo (e Sergio pensò per molto tempo dopo che in effetti lo fosse davvero) Luisa e Claudio ricominciarono a parlare con lui e con Alessia. La serata tornò su binari più consueti e lui tirò quasi un sospiro di sollievo. Poi realizzò e si diede implacabilmente del coglione.

3. Allora perché si dice: “lacrime di coccodrillo”?

E del figlio di puttana.
Naturalmente non poteva considerarsi altro, no? Ormai doveva ammettere a se stesso di non essersi comportato per niente bene. Certo, aveva molte attenuanti. L’attrazione nei confronti di un’altra persona e i sentimenti sono cose su cui tutti quanti hanno uno scarso controllo consapevole. Inoltre lui non era conscio di aver fatto quello che aveva fatto, di aver provato quello che stava provando… almeno non lo era stato fino alla conclusione di quella strana serata. La vita è strana. Passano mesi interi di assoluta tranquillità, di banalità quotidiane che si susseguono ora dopo ora, minuto dopo minuto, di situazioni noiose e prevedibili. Poi, di botto, tutto in un momento, la magia che fa da perno alla spirale universale si manifesta, insondabile e oscura, nelle nostre vite, strappandoci di dosso le certezze, calandoci profondamente nell’abisso del dubbio e facendoci sentire dei coglioni.
E dei figli di puttana.
Non dimentichiamolo.

Non c’era mancanza di intenzionalità e di consapevolezza che avrebbe potuto lenire il dolore e la delusione di Luisa. Non c’era innocenza che avrebbe potuto farla sentire meglio. Eppure Sergio non riusciva fino in fondo a sentirsi colpevole per quegli sguardi, per quelle poche e pregnanti parole scambiate con Alessia. In fondo era innocente… lo erano tutti, no?
Alessia era innocente quanto lo era lui. Claudio era innocente perché non sapeva, e quel poco che sospettava amava dimenticarselo rapidamente. Luisa era innocente perché si era innamorata di Sergio troppo presto.
Tutti assolti. A casa.
Ma restava una questione di primaria importanza che non poteva essere spazzata sotto il tappeto emotivo delle giustificazioni triviali. Che fare?

La sera dopo quello strano incontro, Sergio prese il coraggio a due mani e compose, per la prima volta in vita sua, il numero telefonico di Alessia. Non l’aveva mai chiamata prima perché, naturalmente, non ce n’era mai stato motivo. Luisa, sua amica, e Claudio, suo corteggiatore “ufficiale”, erano le figure preposte a questo compito, quando si doveva organizzare qualche uscita insieme.
Rispose lei quasi subito, e lui rimase per un attimo in silenzio, indeciso sul da farsi. Che fare? Mettere giù, lasciare perdere tutto e trasferirsi in Australia oppure continuare ed essere costretti a trasferirsi in Australia. Ah, i dilemmi della vita…
-Pronto?
-Ciao Alessia. Sono Sergio.
-Ciao! Come stai?
-Ehm… bene… Non mi sembri molto sorpresa.
-Non lo sono, in effetti.
Silenzio.
Ancora silenzio.
Una sconsiderata quantità di silenzio. Quasi quattro secondi.
-Volevi dirmi qualcosa? – Chiese Alessia.
-Sì… io… volevo dirti un sacco di cose.
-Anche io.
-Forse è meglio se cominci tu, io in questo momento sto sperimentando in prima persona l’afasia.
Lei rise.
Buon segno.
-Volevo dirti che il gesto dell’altra sera non è stato casuale, Sergio.
-Lo so. È stato un gesto molto bello.
-Mi sembrava la cosa giusta da fare. Sentivo di volerlo fare.
-E io avevo bisogno di qualcuno che lo facesse, evidentemente. Tu lo hai sentito.
-Sì.
Altro silenzio… Era come cercare di parlare di qualcosa che si dà per scontato senza darlo per scontato. A Sergio, per un attimo, passarono nella mente alcuni esempi di quei dialoghi terribili di certi fumetti, in cui i personaggi devono mettere al corrente il lettore di qualcosa che loro dovrebbero sapere benissimo. Tipo: “Ehi, Joe, quello è il reattore termonucleare a scambio continuo? Quello che se innestato potrebbe spazzare via tutta New York? Quello inventato dal nostro arcinemico il professor Quantum?”… e via dicendo.
-Senti Alessia… - Disse Sergio dopo aver interrotto questo disturbante dialogo mentale, -quando ieri sera mi hai chiesto che cosa volevo… non sono stato sincero, non ho detto quello che pensavo veramente.
-Lo so. Vuoi dirmelo ora?
-Non sono sicuro che sia una buona idea. Non sono sicuro che certe parole, una volta formate e uscite dalla mia bocca, saranno innocue. Fino a che non ce lo diciamo forse le cose rimarranno come sono ora…
-Ti voglio bene, Sergio.
C’erano tante risposte che si era aspettato. Ma questa non era una di quelle.
L’impressione fu quella di un ghiacciolo che stava scendendo lentamente dalla vertebra cervicale fin verso il coccige. Molto lentamente.
-Scusa, ti dispiacerebbe ripetere?
-Hai sentito benissimo. Ci trovi qualcosa di strano?
-No, assolutamente. Sono contento. Anche io… anche io ti voglio bene, Alessia. Però… a dire il vero sì, ci trovo qualcosa di strano.
-E cosa?
-Beh… insomma…
-Claudio?
-Claudio, tanto per cominciare. Luisa tanto per continuare.
-Tutto questo non ha alcun senso, te ne rendi conto, vero?
Silenzio. Sergio non riusciva a dare gli ordini giusti ai muscoli della bocca e della lingua. Il comando “Apriti e dì qualcosa, maledizione”, in particolar modo, sembrava causare dei conflitti di sistema.
-Io penso che sarebbe meglio vederci. Voglio dire…solo noi due. – Riuscì a dire alla fine.
-Sì?
-Sì. Non voglio parlare di queste cose al telefono. Voglio guardarti negli occhi, come l’altra sera.
Stavolta fu lei a pensarci su. Lui sentiva il suo lieve respiro attraverso la cornetta del telefono. Pensò che avrebbe potuto passare ore a sentire un suono come quello.
-D’accordo. Forse hai ragione tu. Però…
-Però?
-Non voglio che Claudio e Luisa sappiano mai nulla di tutto questo.
-Certo, capisco. Va bene stasera?
-D’accordo. A stasera allora.
Sergio sentì un rumore simile a un “clic”.
Aveva messo giù il telefono! Aveva riposto la cornetta proprio come nei film! Ma com’era possibile? Sergio pensava che questo genere di discussioni non appartenessero alla vita reale. Come si fa a dire “A stasera allora” e mettere giù se non ci si è messi d’accordo sul dove e sul quando? Eppure era lì, con l’aria ebete e la cornetta in mano a sentire il silenzio più assoluto di una comunicazione interrotta.

Interludio 1: si ride per non piangere.

Giampietro ed Elisabetta erano felici.
Lui l’aveva conosciuta sui banchi di scuola e se n’era invaghito subito. Lei era abbastanza bella e abbastanza oca per soddisfare tutti i suoi bisogni. Elisabetta aveva lasciato che lui le facesse una corte discreta per qualche settimana, poi in gita scolastica aveva ceduto. Lui aveva bruciato le tappe e, entro la fine della gita, aveva apposto il suo sigillo sulla proprietà. Una proprietà peraltro di seconda mano.
Giampietro ed Elisabetta avevano ormai quasi trent’anni. Erano insieme da una dozzina d’anni ed erano felici. Uniti e felici. Uscivano sempre insieme, andavano a cena fuori insieme con gli amici, andavano al pub insieme, tornavano a casa insieme. Erano l’immagine stessa di tutto quello che si potrebbe desiderare da un rapporto di coppia.
Giampietro non era una palla di fuoco nel reparto “Menti”, ma non era neanche stupido. Non era un cavaliere in armatura e cavallo bianco, ma non era neanche uno stronzo. Era un ragazzo normale, come tanti altri, come quelli che stanno leggendo queste righe.
Elisabetta non era la più grande gnocca dell’emisfero settentrionale, ma era decisamente più sexy della media. Non era completamente lobotomizzata, solo stupida quanto si conviene a una ragazza decisamente più sexy della media. Insomma, era una ragazza come ce ne sono tante, e sicuramente alcune di loro stanno leggendo queste righe. E insieme facevano una bella coppia.
Quando lui voleva che lei esprimesse un’opinione su qualcosa, gliene dava una. Quando lei pensava che lui stesse abusando del potere che, in fondo, lei stessa gli aveva concesso, usava il sesso per tenerlo a bada. Ma in fondo questo è quello che succede a nove coppie su dieci, talvolta invertendo le caratteristiche dei due sessi. Forse alcune di queste coppie stanno leggendo in questo momento.
Ed erano felici, uniti. Quasi belli, insieme. Se si eccettua il fatto che Giampietro sembrava uscito da Wayne’s World.

Mauro era un ragazzo strano. “Strano” era la parola che più gli si adattava, senza alcun dubbio. Quando la gente pensava a lui o parlava di lui, la parola che più frequentemente ricorreva nei pensieri e nei discorsi era senz’altro “strano”. In cosa consistesse questa sua stranezza, ormai più nessuno se lo ricordava o poteva dire di saperlo. Era strano e tanto bastava. Strano, in fondo, come molti ragazzi al giorno d’oggi. Strano come certe persone che forse stanno scorrendo con gli occhi le spire di questo racconto.
Lui era strano, Giampietro ed Elisabetta erano felici. Punto. Le cose funzionano così. Mauro era uno dei migliori amici di Giampietro, e naturalmente conosceva Elisabetta da molto tempo.
Mauro si scopava Elisabetta senza fare una piega da sei mesi.
Giampietro ed Elisabetta continuavano a essere felici. Mauro continuava a essere strano. Era capitato così… una sera Giampietro era tornato a casa prima per motivi di lavoro ed Elisabetta era stata accompagnata a casa da Mauro, già abbastanza strano di suo e al momento anche piuttosto brillo. Anche Elisabetta era brilla. Mauro era convinto che le parole con le donne servissero fino a un certo punto. Quindi aveva diretto la macchina, quasi istintivamente, verso casa sua. Lei aveva obiettato qualcosa, ma non aveva fatto resistenza.
Erano saliti, lui l’aveva portata in camera. L’aveva baciata e l’aveva spogliata, baciandole ogni centimetro di pelle che scopriva pian piano, come togliendo i vari strati di una cipolla e assaggiandoli uno a uno con la punta della lingua.
Lei non aveva fatto resistenza, anzi. Elisabetta non sentiva un’emozione tanto violenta e contraddittoria dai tempi dei banchi di scuola, dai tempi della gita scolastica. È la teoria della lordosi dei topini bianchi da laboratorio applicata all’animale femmina di homo sapiens sapiens.
Avevano scopato selvaggiamente per tutta la notte. Non c’erano stati discorsi tipo: “È stato un errore, non lo dobbiamo fare più” e cose del genere. Lui, prima dell’alba, l’aveva riaccompagnata a casa. Forse la cosa più offensiva per Giampietro era stato il fatto che sotto il portone si erano salutati con due bacini sulle guance.
Da allora, mantenendo sempre una faccia da poker in tutte le circostanze, non avevano perso un’occasione per iniettarsi la loro personale e privata dose di sesso violento e passionale, sanguigno e quasi doloroso. Per oltre sei mesi. Giampietro non aveva mai sospettato nulla. Giampietro era felice. Anche Elisabetta era felice.
Mauro era strano. Ma ora era felice anche lui.

5. Il pianto, nei bambini umani, è un istinto assolutamente innato.

Sergio era comprensibilmente nervoso. Non sapeva cosa fare né cosa dire ad Alessia. Si erano ovviamente risentiti a cena per mettersi d’accordo sui dettagli. Decisero di non andare in nessun posto conosciuto, di trovarsi e di lasciarsi guidare dall’istinto, fermandosi nel primo locale che li avrebbe ispirati. E così fecero.
Non parlarono molto in macchina, né la discussione fu particolarmente interessante fino a che non ebbero finito di ordinare. Quando il cameriere di un anonimo pub irlandese portò loro le consumazioni che avevano chiesto (la solita Guinness per Sergio e una Coca Cola per Alessia) Sergio aprì le danze con un:
-Allora… di che cosa vogliamo parlare?
Lei sorrise e sorseggiò la coca, tra i ghiacciolini e l’immancabile fetta di limone. Lui continuò.
-È inutile girarci attorno, Alessia. Devo dirtelo, è una cosa più forte di me. Io non faccio che pensare a te ogni volta che ti rivedo. Penso che sia la cosa meno cavalleresca e onorevole del mondo, ma non riesco proprio a farci niente. Suppongo che questo ti faccia sentire molto potente e molto lusingata.
-Sì, in effetti sì. Ma non nel senso che intendi tu.
-Cioè?
-È una cosa bella. Tutto qui.
-È una cosa bella? E Claudio?
-Cosa c’entra Claudio. Piuttosto dovremmo parlare di Luisa.
-Appunto… e Luisa? Non è semplicemente una cosa bella. È un disastro in attesa di accadere.
-Forse tu presumi troppo, Sergio.
-Cosa vuoi dire?
-Voglio dire che il fatto che io ti piaccia non significa necessariamente che tu piaci a me. Non in quel modo. E che anche se ci piacessimo reciprocamente questo non significa che debba per forza accadere qualcosa.
-Non in quel modo? Non capisco… C’è più di un modo?
-Certo, ci sono mille modi. Tu mi piaci ma mi piace anche Claudio, anche se in modo diverso.
-Beh, allora sarà meglio chiarire queste differenze, non credi?
-Non è facile…
-Non lo è neanche per me… Anche Luisa mi piace, se è per questo…
-Nel tuo caso è semplice. Luisa ti piace ma è già “tua”. Io sono una conquista. Una sfida.
-Però. Devo dire che sono molto contento del tuo giudizio. Fantastico… E dire che te l’avevo detto che io e Claudio siamo due persone molto diverse.
-Ma siete entrambi maschi.
-E questo cosa significherebbe?
-Che siete tutti e due soggetti al fascino della nuova conquista. L’erba del vicino e quel genere di cose lì.
-Per me le cose non stanno così. Tu hai qualcosa di diverso… nello sguardo, nel modo di fare, nel modo di parlare… Sembri… più adulta, non so… più strana, più complicata.
-Non so se prenderli come dei complimenti.
-E comunque non rigirare la frittata. Voglio capire cosa provi, per me è importante.
Lei sorseggiò ancora un po’ di Coca e guardò fuori dalle vetrine del locale con un’aria smarrita e assente, come se fosse in profonda meditazione.
-Vedi Sergio… Tu mi trasmetti delle sensazioni molto calde, molto piacevoli. Devo ammettere che parlare con te, averti attorno, è un po’ come starsene seduti in poltrona con la coperta sulle ginocchia, di fianco a un caminetto acceso. Rimarrei delle ore a guardarti mentre parli e ad ascoltarti, incantata come quando si guardano le fiamme che scoppiettano. – Lei aveva allungato una mano, mentre diceva questo, e ora la stava tenendo lievemente appoggiata a quella di Sergio. Con l’altra mano lui stava fumando nervosamente una sigaretta.
-Ma? – Disse lui.
-Ma cosa?
-Beh, a questo punto c’è sempre un “ma”.
-Non c’è nessun “ma”. È così e basta.
-E Claudio allora?
-Claudio è una cosa diversa. In fondo non credo che Claudio sia un argomento che ti possa interessare.
-Insomma, non sono affari miei?
-Sì, infatti. Non sono affari tuoi.
-Ma come puoi dire una cosa del genere, dannazione, io proprio non ti capisco. – Sergio ritrasse bruscamente la mano, mentre lei continuava a guardarlo negli occhi. Non avrebbe saputo dire se con calore o con freddezza.
-Non sono uscita con te per parlare di Claudio. Sono uscita con te perché volevi dirmi delle cose e perché volevi chiedermene altre. Ti ho detto quello che provo per te. Sto bene con te, mi fai sentire a mio agio, anche se a volte sei molto duro. Mi piace il fatto che non hai peli sulla lingua, che sei sincero, franco, un libro aperto. Non mi piace il fatto che tu usi la franchezza come alibi, che nascondi la tua rabbia dietro la sincerità, che giustifichi le tue insicurezze e le tue frustrazioni con un velo di schiettezza.
-Mentre tu preferisci essere elusiva, contraddittoria, misteriosa e insondabile. Pensi davvero di costituire chissà quale labirinto oscuro di profondità psichiche?
-È questa l’impressione che ti ho dato?
-Che altra impressione potresti darmi? Sono due mesi ormai che usciamo in doppia coppia… Io e Luisa siamo insieme, e Claudio ti fa una corte serratissima. Ora siamo seduti a questo tavolo e mi dici che io e lui siamo due cose diverse. Io non ci capisco più niente. Quello che hai fatto l’altra sera è stato bellissimo. E tu sei bellissima, e sai di esserlo. La verità è che con tutti questi atteggiamenti imprevedibili tu mi metti una grande paura addosso…
-Non è mia intenzione. A volte è vero che gioco anche io a fare la donna fatale e misteriosa. È una mia difesa, proprio come le tue. Cosa dovrei fare secondo te?
-Non so… tu credi di essere innamorata di Claudio?
-Non lo so.
-E tu credi di…
-Non me lo chiedere. – Lo zittì Alessia.
-Perché? Perché non dovrei chiedertelo?
-Perché in questo modo potrei chiedertelo anche io. E tu non sapresti cosa rispondermi. E io non voglio sentirmi dire che tu non sai cosa rispondermi. – Lo sguardo di Alessia era molto semplice da leggere in quel momento: era supplicante.
Sergio spense la sigaretta e bevve un sorso generoso di Guinness. Poi se ne accese un’altra. Lei stava di nuovo guardando fuori dalla vetrina, con le braccia conserte, un’espressione seria sul volto.
-Dimmi questo allora – Disse lei all’improvviso dopo qualche attimo di silenzio -tu sei innamorato di Luisa?
Sergio ripensò a Luisa. A come si erano incontrati, così per caso, alla breve frequentazione che c’era stata prima che diventasse palese a entrambi (e a tutti i presenti) la loro reciproca attrazione fisica. Alle prime uscite in centro, da soli. Ai discorsi. Alla voglia di raccontarsi, di farsi conoscere, e di conoscere l’altro. Alla prima volta che avevano fatto l’amore in modo disastroso e alle poche altre volte in cui, invece, era stato bellissimo.
-No, – Rispose. – io… io credo di essermi innamorato di te.
-Sergio…
-No, aspetta. Lasciami parlare. È cominciato in modo innocuo… Pensavo che tu e Claudio avreste fatto una bella coppia, ma in realtà dentro sapevo che non avrebbe potuto funzionare. Insomma… per lui tu sei soltanto un’altra tacca, un numero sull’agendina, una statistica. Più lui riusciva ad avvicinarsi a te e più io mi sentivo male e non riuscivo a capirne il perché. Ora ho capito. Ho capito che ti desidero immensamente. Che voglio aiutarti, proteggerti, difenderti da tutto e da tutti, che voglio che tu sia felice. In queste ultime ventiquattr’ore, poi, tutto mi si è schiarito in testa come se ci fosse stato un flash improvviso. Questa risposta pensi che possa andare bene? Pensi che sia sufficientemente chiara? Alessia… Alessia, guardami negli occhi, ti prego…
Lei si girò e lo guardò, in un modo strano che lui non sapeva assolutamente interpretare. Vide che un paio di lacrime stavano scendendo lungo il mento e, istintivamente, gliele asciugò con un leggero movimento della mano.
-Perché stai piangendo?
-Perché è tutto sbagliato. Ecco perché. Ti prego, riportami a casa.
Sergio avrebbe voluto fermarla, cercare di spiegarsi meglio, convincerla a non andare… ma sapeva che la cosa migliore era darle retta. Ci sono cose che ci fanno male perché sono belle e perché abbiamo paura che non siano vere. Non sapeva se questo fosse il motivo della sua commozione, ma decise che non avrebbe fatto altre domande né avrebbe dichiarato altro. Pagò il conto e, totalmente in silenzio, la riportò a casa.

Interludio 2: Questo mondo è una valle di lacrime

Giuliana è una ragazza infelice. È una bella fanciulla, piuttosto intelligente per la sua età, e decisamente molto sensibile. Una ragazza piena di vita, di interessi, di energia. Eppure è profondamente infelice. Tanto profondamente che spesso la gente non se ne accorge nemmeno dopo averla frequentata per mesi o per anni. C’è semplicemente una riga di comando da qualche parte nella sua ROM che ha un segno negativo davanti, qualcosa di talmente radicato e insondabile, di tanto sottile, che non si riesce a vedere, ma solo a intuire.
Giuliana ha sempre condotto una vita apparentemente volitiva, da protagonista. È una persona che sceglie, che pensa quello che dice, che dice quello che pensa, che fa sempre quello che vuole. È una che non cerca facilmente scuse, che non si nasconde dietro ad alibi o a giustificazioni. In realtà, è una persona che non fa altro che subire, giorno dopo giorno, l’inerzia di ciò che gli altri scelgono per lei e di ciò che si sente costretta a fare per via della sua ombra.
Giuliana flirta da tempo con un bel ragazzo, un tipo simpatico e allegro, che le sta facendo una corte di tutto rispetto. A lei piacerebbe molto accettare la sua corte e concedersi a lui, abbandonarsi a qualcosa di giovane, pulito, fresco, innocente, emozionante, vitale… Ma non ci riesce.
Giuliana lavora in uno studio di un avvocato. L’avvocato è un caro amico di suo padre. Dopo aver cominciato a lavorare, nell’arco di poche settimane, Giuliana si rende conto che l’avvocato si interessa a lei in modi ben diversi da quelli professionali. Si racconta che l’avvocato è una persona affascinante, così giustifica in parte il fatto di subire la situazione e cerca invece di viversela come una scelta personale, come fa sempre. L’avvocato se la porta a letto durante un weekend e da allora la situazione si complica. Quest’uomo, che ha superato la cinquantina, comincia a comprare la sua attenzione e il suo tempo, e a riservarsi delle opzioni per la sua anima. Prima un cellulare, poi un completo di biancheria intima, poi un vestito, poi un’auto. A lei sembrano regali affettuosi e non importa se ogni tanto l’avvocato le dà una sberla, o se si lascia scappare una palpatina fuori programma in ufficio. Non importa se quando l’avvocato parla con i suoi colleghi sembra sghignazzare e darsi di gomito… in fondo sono cose da uomini.
L’avvocato richiede una lista dettagliata di tutte le chiamate che Giuliana riceve sul cellulare. L’avvocato appartiene a una potente loggia massonica della città. Se un numero compare più di tre o quattro volte in una settimana, l’avvocato si informa grazie a un paio di confratelli e si scrive su una elegante agendina di pelle nera il nome e l’indirizzo del misterioso interlocutore.
Una sera un suo caro amico, che le è stato molto vicino, viene coinvolto in una rissa in un pub. Ne esce male. Due costole fratturate, il naso rotto, una leggera commozione cerebrale. Giuliana non capisce come questo può essere successo, dato che il suo amico è una delle persone più tranquille e pacifiche del mondo. L’avvocato le spiega con calma, come si fa insegnando le tabelline ai bambini, che certa gente non dovrebbe chiamarla, non dovrebbe nemmeno considerare che esista.
Giuliana comincia a sentirsi una specie di filo arroventato attorno al collo e un macigno nello stomaco ogni volta che si alza alla mattina per andare al lavoro. L’avvocato continua a violentarla, a picchiarla e a ricattarla. Tutti i soldi di Giuliana, tutti gli stipendi, sono versati su un conto corrente privato che è a nome dell’avvocato… Se succedesse qualsiasi cosa Giuliana rimarrebbe in braghe di tela. Più di una volta le è parso di scorgere qualcuno che la osserva dall’altra parte della strada, o di vedere una macchina che la segue in città. Ma in fondo lui lo fa perché la ama, per proteggerla, no?
Anche le foto nuda sono state fatte per proteggerla. Anche l’aborto. Anche le volte in cui c’è qualche amico dell’avvocato a casa, e lei viene offerta gentilmente come un bicchiere di brandy.
Giuliana si sente sempre più inaccessibile e chiusa in se stessa. Non sa cosa fare. Non sa cosa vuole.
Ma nessuno lo saprà mai.
Questo, fosse l’ultima cosa che farà, l’ha giurato.

6. Il pianto e il riso sono due lati dello stesso impulso emotivo.

Sergio lasciò Luisa un paio di giorni dopo. Pensò in questo modo di riparare almeno in parte al dolore che avrebbe potuto provocare e al senso di colpa che si sentiva dentro. Si sentiva in colpa per il fatto di essersi innamorato di Alessia, si sentiva in colpa nei confronti di Claudio per la paura di ostacolarlo, di competere con lui. Si sentiva in colpa con se stesso perché pensava di non meritarsi una situazione del genere, di essere preda di qualche basso e oscuro istinto che non riusciva a controllare consapevolmente. Luisa, naturalmente, ci stava malissimo e in un oscuro angolo del suo cervello aveva paura. Anzi, a dir la verità era terrorizzata, sconvolta dal panico. Perché sospettava che Sergio si fosse invaghito di Alessia. Come era successo in altri casi. Era come se lei fosse una sorta di prua rompighiaccio che avanzava e permetteva ad Alessia di prendere i frutti migliori, come se ci fosse la certezza assoluta, esistenziale, che non avrebbe mai potuto competere con lei, con il suo bruno mistero. In realtà, ciò che Luisa non aveva mai capito, era che lei stessa, come facciamo un po’ tutti, preparava le sue sconfitte, i suoi fallimenti. Era una bambina spaventata che era costretta a giocare alla donna perché aveva un quarto di secolo.
Alessia chiamò Sergio il giorno dopo la “rottura”. Era l’ultima cosa che Sergio si sarebbe aspettato, ma a volte la realtà riesce effettivamente a stupirci e, nella stragrande maggioranza dei casi, in negativo.
-Ciao Sergio, come stai?
-Abbastanza bene. Tu?
-Male. Cos’è successo con Luisa?
-Cos’è successo? È successo che ho deciso di non continuare a prenderla per il culo.
-E ora cosa pensi di fare?
-Niente. Non so cosa fare. So solo che l’altra sera, con te, sono stato sincero.
-Lo so. Lo hai spiegato a Luisa?
-No, non mi sembra il caso. Inoltre non sei tu il motivo per cui l’ho lasciata. Il motivo per cui l’ho lasciata è che non sono innamorato di lei. Tu al massimo me ne hai fatto rendere conto in maniera più chiara.
-…Lei non sta molto bene.
-Lo posso immaginare, e mi dispiace. Ci si passa tutti prima o poi, no?
-Già. Senti Sergio…
Rimasero entrambi in silenzio per due o tre secondi.
-È così grave? – disse lui ridacchiando nervosamente.
-Io non credo che noi dovremmo vederci più.
-Cosa?
-Hai capito cosa intendo dire.
-Ma perché?
-Perché non mi sembra la cosa giusta da fare, perché…
-Perché? Perché Luisa sta male? E cosa pensi che possa fare io per farla stare meglio? Pensi che non vedersi risolva qualcosa? Cosa stiamo cercando di fare, di battere il record mondiale di ipocrisia?
-Cristo, ma io cosa dovrei fare con lei? Come posso guardarla in faccia con… con tutto questo? Come posso continuare a considerarmi la sua migliore amica se sono innamorata di te?
-Cosa?
-Vaffanculo.
“Clic”. Ancora una volta? Stava diventando una tradizione, farsi sbattere il telefono in faccia.
Sergio riattaccò la cornetta e rimase a fissare il telefono per una decina di minuti, come se si aspettasse da un momento all’altro una telefonata da parte dell’Ufficio Affari d’Amore Veramente Complicati in cui l’addetto di turno gli desse qualche spiegazione. Nessuno lo chiamò, nemmeno Alessia. Pensò di richiamarla lui, ma forse non era il momento giusto. La verità era che si stava letteralmente defecando nei boxer. Era completamente confuso, non sapeva cosa pensare, come reagire. Cercò, per fare chiarezza, di prendere in esame le emozioni che stava provando in quel momento: c’era vergogna e senso di colpa per aver lasciato Luisa, felicità per quello che gli aveva appena rivelato Alessia, senso di colpa verso Claudio per essersi innamorato di Alessia, senso di vittoria e trionfo perché era riuscito dove Claudio, un vero esperto in materia, aveva fallito, inadeguatezza perché avrebbe voluto stare vicino a Luisa per consolarla e farla stare meno male, consapevolezza del fatto che quella sarebbe stata un’idea pessima, desiderio di vedere Alessia o, quanto meno, di risentirla al telefono… L’elenco andò avanti ancora per un bel po’. Alla fine sembrava che le emozioni non finissero mai, come se l’elenco generasse altri elenchi, che generavano altri elenchi.
Sergio pensò saggiamente: “Fanculo”. E andò al bar sotto casa a farsi un caffè per schiarirsi le idee.
Malauguratamente, il bar sotto casa sua era anche il bar sotto casa di Claudio. E Claudio era al bar.

Sergio entrò, vide Claudio al bancone, con una faccia strana e una tazzina di caffè in mano, e rimase impietrito. Claudio lo vide, sorrise e gli fece “Ciao” con la mano. Sergio arrivò al bancone e chiese un altro caffè, senza riuscire a guardare direttamente in faccia l’amico. Anche se ne avrebbe avuto tutti i motivi, in un certo senso: era certo che se la situazione fosse stata invertita, Claudio non si sarebbe fatto il minimo scrupolo, né nei suoi confronti, né nei confronti della “Luisa” di turno.
-Beh? Come va? – chiese Claudio dopo qualche istante di silenzio e sorrisi di circostanza.
-Bene. Cioè, no. Male. Insomma… Non ne ho idea.
-Hm. Luisa?
-Luisa cosa?
-Come sta? L’hai sentita?
-Sì, no, non l’ho sentita. Comunque non sta bene.
-Come fai a saperlo se non l’hai sentita? Magari è insieme a mister Dexter Saint-Jacques a Cuba.
-Ne dubito. Alessia ha sentito Luisa. E dopo ha sentito me.
-Ah, capisco. La spalla su cui piangere.
Sergio alzò gli occhi al cielo (cioè, al soffitto del bar, per la verità, dove fece in tempo a notare un neon rotto e qualche ragnatela di troppo) e sospirò. Bevve di botto il suo caffè (due cucchiaini di zucchero e latte freddo) e poi si accese una sigaretta.
-Beh? Che ti ha detto Alessia?
-Che vuoi che mi abbia detto? Che Luisa c’è rimasta molto male e che è triste, eccetera.
-Comprensibile.
-Sì, ma qui sembra che sia morto qualcuno.
-La situazione è così grave?
-Già. Più grave di quanto pensi.
-Sinceramente non credevo che Luisa fosse tipa da buttarsi giù così tanto. Tutto sommato eravate insieme da poco tempo.
-Si era innamorata di me. Io no. Se per questo devo essere l’orco cattivo, amen. Claudio sospirò. Rimase un attimo in silenzio con il respiro che gli gonfiava il petto, come se stesse decidendo se farlo uscire o no. Poi disse: -Magari non è per questo che rischi di passare per l’orco cattivo. Magari è per il fatto che stai con una ragazza mentre sei innamorato perso della sua migliore amica.
Sergio sbarrò gli occhi e si girò a guardare Claudio. –Prego?
-Ma dai, piantala. La devi finire di darti tutte quelle cazzo di arie da cavaliere medievale con me, okay? Io ti ho sentito fare scorregge capaci di far paura a Bin Laden. Dopo trentatré secondi di peto continuato nessuno può permettersi di fare tanto il sostenuto, okay?
-Senti, dai un taglio alle stronzate e mi dici quello che mi devi dire? Così poi posso andare a casa a fare il sostenuto da solo. Sostenuto da una corda legata alla trave del soffitto.
-Il soffitto di casa tua non ha travi a vista. E comunque voglio dire semplicemente quello che ho detto. Che è un po’ da stronzi innamorarsi dell’amica della propria ragazza, è proprio una roba da pivelli, da primo capitolo del manuale. Ed è ancora più da stronzi farlo saltar fuori.
-Ma tu come cazzo fai a…
-A saperlo? Gesù, stasera l’hanno detto anche alla CNN! Aggioranamento speciale: Sergio ha lasciato Luisa. Dai, basta vederti quando la guardi, quando le parli. Sembra che tu sia Tristano e lei Ginevra…
-Isotta.
-Che cazzo me ne frega di chi è! Hai capito. Il punto è che in questi casi si molla la tipa, certo, e si tengono i contatti con l’amica, certo. Ma non tutto nell’arco di ventiquattr’ore. Quello è sconsigliato da qualsiasi regolamento a sud della Via Lattea.
-Senti, Claudio… io… mi spiace, cioè…
-Mavaffanculo, Sergio. Che cazzo vuoi che me ne freghi.
-Ma se non mi hai neanche fatto finire di parlare!
-Ma lo so! Mi stai dicendo che ti dispiace perché Alessia la stavo puntando io e ora tu ti sei innamorato di lei eccetera. Ma non me ne frega un cazzo. Se vuoi ti scandisco le parole, ti faccio lo spelling. Sei tu che sei convinto, sotto sotto, che io sia uno stronzo perché ci provo con le ragazze che mi piacciono anche se piacciono a qualcun altro. Io no. Per me questo è normale, è la natura delle cose.
-Ma dai! Si sa che non ci si deve pestare i piedi tra amici.
-Certo, ma per me questo non è pestare i piedi. Se tu vai dietro a una ragazza, io ci provo e lei e ci riesco… Prova a riflettere per un attimo. Che cazzo hai perso?
-Non capisco…
-Voglio dire: se tu avessi avuto una chance con lei, credi che allora la mia presenza avrebbe cambiato davvero le cose? Mi credi così onnipotente? Credi che chiunque abbia un potere del genere? Non hai ancora capito che Alessia stava dietro a te fin dall’inizio? Quella probabilmente si è presa una cotta per te. Ti ricordi che ti ho detto, al cinema, che non capivo un cazzo del suo atteggiamento? Beh, era soltanto perché non volevo capirlo. Ma in realtà era chiarissimo. Lei parlava con me perché voleva sapere di te. Mi dava corda perché ero tuo amico. Faceva finta di stare al gioco perché era amica di Luisa. Tutto qui. Io non sono mai stato della partita. Se lo fossi stato, me la sarei fatta e punto. Tu non cambi le cose. Tra me e Alessia probabilmente non sarebbe mai accaduto nulla comunque.
Sergio rimase zitto un po’ a guardarsi le mani, che sembravano essere state colte da un improbabile attacco di sindrome di Tourette o di Parkinson.
-Mi ha detto che è innamorata di me.
-Visto? Che ti dicevo un attimo fa?
-Ma non capisci? È una catastrofe! Lei è la migliore amica di Luisa!
-Non esistono amiche tra le donne, è come la storia dell’onore tra i ladri. Sono tutte cazzate.
-Ecco che ricomincia mister correttezza politica.
-Fanculo. Tu sei innamorato di lei?
-Credo proprio di sì.
-E lei è innamorata di te?
-Così dice.
-E allora? Che cazzo stai qui a parlare e a giustificarti con me? Vai da lei e schiaffale due metri di lingua in gola.
-Bonjour finesse.
-Vai. Lascia perdere tutto il resto. Tutto il resto. Fottitene. Fottitene di me, fottitene di Luisa. Fottitene pure di te stesso e delle tue stronzate. Fottitene persino di Alessia. Fai quello che devi fare e basta.
-E cosa devi fare?
-Vuoi che te lo metta per iscritto? Innamorati, vivi, scopa, divertiti. Finché dura. E poi trascinati nel ricordo, nel dolore, nel rimpianto. E poi guarisci. E ricominci. La chiamano vita.
-Da quando sei diventato saggio?
-Da quando tu sei diventato uno stronzo. Vantaggi dell’amicizia reciproca. Vai. Fuori dai coglioni.
Sergio sorrise. Si alzò e uscì dal bar. Alessia abitava lontano, ma lui si mise a correre. Non pensò a prendere la macchina, non pensò a prendere mezzi pubblici o un taxi.
Si mise a correre.
E corse fino a sotto casa sua.

Epilogo: Non si piange sul latte versato.

Sarebbe bello, a questo punto della storia, tirare qualche genere di conclusione, di morale, di finale romantico tipo “e tutti vissero felici e contenti”. Ma sarebbe anche molto poco sincero. Quello che accadde, invece, fu più o meno questo. Sergio arrivò a casa di Alessia. Lei scese e i due parlarono a lungo. Rimasero a girare nel quartiere per ore e ore, spiegandosi, cercando di convincersi a vicenda delle rispettive idee, cambiandole spesso, contraddicendosi, piangendo, ridendo e, nel complesso, facendo un gran bel casino. Alla fine lui la baciò. Tremava tutto, e anche lei era tesa. Fu un bacio molto bello che tutti e due ricordarono poi per il resto della loro vita. Non tutto il loro rapporto andò in modo così cinematografico, per la verità. Fu il rapporto più lungo vissuto da entrambi: un anno e tre mesi. Alla fine, Alessia lo lasciò perché si era innamorato di un altro (un professore universitario di filologia di dodici anni più grande di lei) e Sergio portò il lutto esistenziale né più né meno di quanto richiedesse la prassi in questi casi. Poi passò un lungo periodo da single in cui si divertì un casino e si sentì molto solo. Perse i contatti con Claudio e i due, dopo qualche sporadico incontro al bar in cui si aggiornavano sulle rispettive avventure, non si videro mai più.
Claudio e Luisa, invece, rimasero amici per molti anni. Incredibilmente, lui non ci provò mai con lei e, anzi, la confortò e l’aiutò come un vero amico quando lei aveva casini con altri ragazzi. Luisa si trasformò, infatti, in una specie di suora laica: affermava che un ragazzo, per portarsela a letto, avrebbe quanto meno dovuto sottoscrivere con il sangue un contratto in cui dichiarava di amarla incondizionatamente e di sposarla di lì a un paio di mesi. Con un atteggiamento del genere, come è comprensibile, attirò una serie di figuri sempre più squallidi e disonesti. Dopo qualche anno di questa schizofrenia sentimentale, si trasferì in Inghilterra e uscì per sempre dai confini di questa storia. Claudio trovò una brava ragazza, si sposò, mise, come si suol dire, la “testa a posto”, diventò padre di due maschietti e passò una vita normalissima, con tutte le piccole gioie, i piccoli dolori, le tante delusioni e le innumerevoli nevrosi che passa la maggior parte della gente.

Sergio diventò scrittore. Non arrivò a diventare ricco e famoso, ma si fece un certo nome. I suoi libri, storie quotidiane di persone comuni, tanto diversi da quelli che gli piaceva leggere e dai film che adorava, avevano una sorta di ironia di fondo che piaceva alla gente. Il loro messaggio sembrava essere: “Non prendetevi troppo sul serio”. Un messaggio senza dubbio molto utile per tante persone. Anche lui trovò l’amore, ma dopo i quarant’anni. Era una ragazza di venti che aveva letto tutti i suoi libri. Si incontrarono a un “incontro con gli autori” (occasioni che Sergio amava definire “il mio personale girone dell’inferno”). Lei, una graziosa biondina di nome Erica, gli portò una copia del suo primo libro, tutto annotato, sottolineato e segnato ai bordi. Lui rimase colpito di come quella sua opera prima (che amava definire “la mia immensa tavanata”) fosse stata letta con tanta attenzione e cura ai dettagli. Lei gli disse che era per l’università: stava facendo uno studio sui giovani autori esordienti italiani, e lui era il suo preferito. Si era innamorata di lui, cioè, no, voleva dire, delle sue storie. Lui autografò il libro e sotto scrisse il suo numero di cellulare. Lei lo chiamò qualche giorno dopo. Si videro e cominciarono a frequentarsi sempre più assiduamente. Lei gli parlava di quello che lui scriveva e glielo spiegava, mostrando aspetti dei suoi racconti che lui non aveva sospettato nemmeno per un momento.

La loro storia andò bene, meglio di tante altre.

Non si presero mai troppo sul serio.

Posted in Racconti

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