Il Ponte

2007 by abietto

Il PonteIl villaggio di Roccabianca era l’unico insediamento del Regno al di là della Foresta. Non che i suoi abitanti fossero particolarmente avventurosi o coraggiosi: solo la necessità li aveva fatti arrivare tanto lontano. Erano stati spinti dalle invasioni che avevano vessato quelle contrade nel corso dei secoli e, alla fine, si erano ritrovati all’ombra delle imponenti querce che delimitavano il confine settentrionale di quella valle. Il popolo che per tempi immemorabili aveva abitato una pianura gentile e fertile era stato cacciato: occhi neri avevano spinto via i loro occhi azzurri. Capelli scuri avevano preso il posto delle loro fluenti chiome bionde. Prima delle grandi guerre contro i barbari, nessuno si sarebbe mai sognato di avvicinarsi alla Foresta: in quel luogo oscuro e malevolo vivevano creature mostruose e infide. Ma quando il pericolo è concreto e visibile, le leggende diventano improvvisamente meno allarmanti. Quelli che sarebbero diventati i fondatori di Roccabianca si spinsero sotto le fronde degli alberi e continuarono a camminare, giorno dopo giorno, per generazioni. La Foresta era immensa: sembrava coprire un regno intero, e le leggende affermavano che fosse proprio così. Lì, nel cuore più profondo della vegetazione, dove la pallida luce solare diventava verde e le ombre disegnavano cose strane, si nascondevano Loro. Fu così, per sfuggire alle fin troppo materiali lame delle lance e delle spade nemiche, che i profughi affrontarono l’ignoto e, dopo anni di viaggio, arrivarono al di là della Foresta.
A nord di Roccabianca, l’immensa massa verde, ondeggiante e sussurrante, si estendeva per chilometri e chilometri, oltre le sponde di un grande fiume. A sud, scogliere ripide e alte cadevano sulle rocce spumeggianti della costa. A est e ad ovest c’erano solo colline paludose e le propaggini della Foresta, che sembrava avanzare anno dopo anno, come a voler circondare completamente le case di legno e mattoni. Come a stringerle in un abbraccio, tra i lunghi rami scheletrici che sembravano mani di mostri notturni.
L’unica cosa che poteva tener lontane le creature del bosco era l’acciaio. Non si vedevano Elfi o Folletti nelle pianure conquistate dall’Uomo: gli Uomini amano usare l’acciaio per difendersi, si fasciano di questa lega preziosa e imbracciano lunghe lame affilate, che maneggiano con perizia da dietro enormi scudi. Loro non potevano resistere al tocco dell’acciaio.

I primi tempi a Roccabianca furono molto duri. All’inizio era poco più che un piccolo gruppo di case di terra e fango, con tetti di paglia. I bambini svanivano dalle loro culle nella notte e le bestie morivano dissanguate in mezzo ai pascoli, senza impronte o segni di alcun tipo nei dintorni. Non che gli abitanti del villaggio avessero bisogno di queste tracce per sapere chi fossero i responsabili. Erano Loro, naturalmente.
Poi gli Uomini trovarono vene di ferro che affioravano dalle rocce delle alte scogliere, e cominciarono a scavare, a estrarre, a temprare. Ma le armi non erano sufficienti: quando si è circondati dal nemico e si può contare solo su pochi soldati della guardia volontaria, una spada o una lancia non costituiscono una difesa efficace. Le cose migliorarono, ma di poco e temporaneamente. Gli Uomini cominciarono a costruire alte mura attorno al villaggio, a erigere case di legno e di pietra, a mettere radici, per così dire. Dove non crescevano alberi, poteva attecchire l’Uomo. Fu un momento felice, in cui gli abitanti pensarono di poter battere la Foresta, di poterla ricacciare indietro, con tutte le creature paurose che nascondeva.
Ma non era così: i bambini ripresero a sparire e con loro alcuni soldati. Le armi si potevano sempre recuperare: Loro non le portavano via… Non le toccavano neppure. Ma non stava rimanendo più nessuno in grado di brandirle.
Pensarono a una soluzione definitiva, qualcosa che tenesse lontani quei mostri per sempre. E cominciarono a estrarre più metallo di quanto non si fosse mai visto nel Regno intero. Con un lavoro che avrebbe meritato un ricordo imperituro e innumerevoli canti dei bardi, costruirono un immenso, possente ponte che scavalcava il fiume, totalmente realizzato con le gigantesche barre d’acciaio temprato che i fabbri producevano a ritmo continuo. Molti Uomini morirono durante i lavori… Qualcuno per un incidente, altri per stanchezza, fame e consunzione. Ma alla fine, il ponte fu terminato. Si poté quasi sentire l’urlo di disappunto della Foresta quando anche l’ultimo pezzo venne saldato. Loro non avrebbero mai più potuto passare il fiume e arrivare a Roccabianca. Il villaggio era finalmente salvo.
Non ci fu gloria per tale costruzione: nessuno passava per quelle contrade. Chiunque volesse viaggiare passava a nord, al di là della Foresta, oltre le paludi… E le navi approdavano in zone lontane, dove le coste erano meno inospitali e il mare meno imprevedibile. Nessuno seppe mai di questa meraviglia creata dalla testardaggine e dall’ingegno umano, nonché dal suo inesauribile istinto di sopravvivenza.
E così la pace regnò su Roccabianca per anni.

La notte era fredda e chiara. Il vento gelido sferzava il cappuccio di Kevin e gli faceva lacrimare gli occhi. Avvolto nel suo mantello grigio scuro, stretto nelle braccia, il ragazzo camminava avanti e indietro al limitare del villaggio, osservando distrattamente l’estremità del Ponte. Era di guardia, quella sera. Da solo, come era usanza della sua gente. Non servivano due guardie… In realtà non ne serviva nemmeno una: nessuno di Loro avrebbe mai potuto toccare quell’acciaio. La prudenza, però, non è mai troppa. E l’Uomo che ha subito molti assalti, stenta a sentirsi al sicuro, anche protetto dalle difese più efficaci. Kevin andava da un’estremità all’altra della Porta di Roccabianca, fermandosi ogni tanto dietro a una merlatura per ripararsi dal vento, sfregando le mani avvolte nei caldi guanti di pelliccia. Non c’era una nube in cielo e la Luna piena gettava una strana luce ambrata che rendeva la scena quasi irreale. Si poteva distinguere ogni dettaglio sul Ponte, eppure era buio. Una cosa che capita solo nei sogni.
Nonostante ciò, il giovane stentò a credere ai suoi occhi quando vide una figura esile, immobile, proprio tra le arcate di metallo. Una figura che sembrava fissarlo.
Sbarrò gli occhi, poi li chiuse e se li sfregò vigorosamente. Li riaprì. La figura era ancora lì, dove l’aveva vista poco prima, e non accennava affatto a svanire o ad andarsene. Era un Uomo… No, non proprio. Più che altro sembrava l’idea di un Uomo che un bambino poteva esprimere in un disegno frettoloso. Gli arti erano linee sottili, la testa un ovale nero con due stelle luminose al posto degli occhi. Le dita delle mani si aprivano come rami di betulle secche, lunghissime e filiformi.
Kevin fece a tempo a rendersi conto di ciò che stava vedendo e a sentire i peli della nuca rizzarsi sotto il cappuccio, quando la figura cominciò a camminare. Verso di lui.
Gli parve di sentire una risata lontana, provenire dalla Foresta. Quella caricatura d’Uomo continuò ad avanzare lentamente, come se avesse tutto il tempo dell’universo per compiere i pochi passi che la dividevano dalle mura del villaggio. Mentre s’avvicinava, a Kevin parve di scorgere un ghigno sotto quegli occhi scintillanti, come la bocca zannuta di uno squalo.
La sua mente sembrò incendiarsi di colpo. Doveva fare qualcosa, ma cosa? Non c’era un vero piano d’emergenza per un’eventualità che tutti consideravano impossibile. Kevin cercò a tentoni l’elsa della propria spada, assicurata alla cintura. Poi si guardò attorno e vide la campana che era stata fissata al muro dietro di lui. Ma certo, doveva suonare l’allarme! Si girò per afferrare la catena, con l’intenzione di scuoterla violentemente, quando sentì un sibilo alle sue spalle. Si voltò e vide la figura nera proprio sotto la Porta, a pochi metri da lui. Rimase paralizzato dal terrore. Non poteva essersi mossa così in fretta e così all’improvviso! Indietreggiò di un passo, e cominciò a sentire lacrime rigargli il volto. Lacrime che non erano causate dal vento.
Ma come era possibile? Loro non potevano toccare l’acciaio! Non potevano nemmeno avvicinarsi! Come aveva potuto quella figura scheletrica avanzare superando l’intero Ponte e arrivare alle porte di Roccabianca? Non riusciva a capire: non era semplicemente ammissibile!
Poi i suoi occhi colsero qualcosa che prima non avevano registrato, dei dettagli dissonanti, particolari fuori posto. Qualcosa che non quadrava. Il mostro lo stava osservando con i suoi strani occhi luminosi di un intenso colore azzurro da sotto una cascata di capelli che, sotto lo sporco, erano indiscutibilmente biondi. Trascinava dietro di sé qualcosa, nell’ombra. Kevin strinse gli occhi e vide che teneva per mano una bambola di pezza, del tutto identica a quelle con le quali giocavano i bambini del villaggio.
Allora capì. Allora cominciò ad urlare.

I bambini rapiti erano cresciuti.
E stavano tornando a casa.

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